Palazzo Schifanoia, eretto nel 1385 a Ferrara per volere di Alberto V d'Este, costituisce una delle sopravvissute espressioni architettoniche di dimore destinate alla rappresentanza e allo svago. Il termine "Schifanoia" deriva, infatti, da "schifar" ovvero "schivar la noia", allontanare il tedio dei pressanti impegni politici. Fulcro dell'edificio è il Salone dei Mesi, uno dei più estesi cicli pittorici del Rinascimento concepito come una sorta di scatola scenica studiata per stupire il visitatore.
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PALAZZO SCHIFANOIA, SALONE DEI MESI |
L'edificio, costruito ad un solo piano, venne ampliato nel 1391 e acquistò le forme attuali sotto la signoria di Borso d'Este, marchese e poi duca di Ferrara tra il 1450 ed il 1471. Nel 1465, infatti, Borso ordinò all'architetto Pietro Benvenuti degli Ordini di prolungare il corpo di fabbrica verso oriente e di sopraelevare il fabbricato con un piano nobile destinato ad accogliere gli appartamenti ducali. Ornata di un coronamento di merli dipinti, la facciata dell'edificio era in origine decorata con motivi geometrici che simulavano policromi rilievi lapidei. Contribuì alla valorizzazione dell'esterno l'imponente portale marmoreo, che gli studiosi attribuiscono ad Ambrogio di Giacomo da Milano e Antonio di Gregorio, sovrastato dal grande stemma estense e dall'unicorno, creatura mitica assai cara a Borso tanto da elevarla a propria impresa araldica. Sul finire del secolo, nel 1493, Schifanoia subisce l'ultimo ampliamento ad opera di Biagio Rossetti, l'architetto protagonista del celebre piano di espansione urbana lodato dalla letteratura col nome di Addizione Erculea. Proprio Ercole I, successore di Borso e duca della città fino al 1505, volle infatti prolungare il palazzo di altri sette metri verso est al fine di creare un nuovo ambiente. Anche la facciata fu interessata da un rinnovamento: la merlatura di coronamento venne eliminata e sostituita con un cornicione in cotto che, nelle metope, presenta a rilievo l'impresa ducale del Diamante.
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INGRESSO DEL PALAZZO |
Fulcro del palazzo è l'ampio salone di rappresentanza: il Salone dei Mesi, terminato, come le altre parti dell'edificio, nel 1469-70. In questo ambiente, il primo duca estense chiamerà a raccolta molti fra gli artisti attivi a Ferrara, tra i quali Francesco del Cossa ed Ercole de' Roberti, al fine di creare uno dei più stupefacenti capolavori dell'arte rinascimentale italiana. Il grande Salone misura quasi 25 metri di lunghezza per circa 11 di larghezza, l'altezza raggiunge invece i 7 metri e mezzo. La superficie dipinta raggiungeva pertanto i 525 mq, una cifra che fa di questo ambiente uno dei più grandi cicli decorativi profani del Rinascimento. A questo straordinario ambiente si accompagna la sontuosa Sala delle Virtù, che nel fregio e nel soffitto vide all'opera uno dei migliori scultori attivi nel nord Italia: il padovano Domenico di Paris.
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SALONE DEI MESI |
Le pareti sono contraddistinte dalla presenza di dodici sezioni che corrispondevano ai dodici mesi dell'anno: di questo ne sopravvivono solo sette. I mesi sono intervallati da aree nelle quali erano dipinte scene di vita urbana o cortigiana. Il senso di lettura generale è orizzontale, da destra verso sinistra, mentre per quanto attiene ciascun mese si procede in verticale: in alto il Trionfo della divinità protettrice del mese raffigurato, nella fascia mediana il segno zodiacale e i rispettivi decani, infine, l'ultima è dedicata ai fasti del committente, effigiato per ben tre volte in ogni scena mentre ostenta le virtù ducali che contraddistinsero il suo regno. Il Salone era pensato come una sorta di scatola scenica: ventidue paraste dipinte simulano la funzione di reggere il soffitto ligneo partendo da un'alta balaustra decorata da fregi con putti. Questi elementi erano chiamati a suggerire all'osservatore la presenza di uno spazio illusorio, una sorta di loggia all'antica che si apriva sulla città.
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SALONE DEI MESI, MESE DI MARZO |
Palazzo Schifanoia a Ferrara è dunque uno dei luoghi più spettacolari del Rinascimento, una residenza di delizia concepita per "schifar la noia" e stupire chi ne varcava e ne varca le porte.
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